50 fa il Concilio. Così la Chiesa cambiò se stessa.

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di Luigi Accattoli – “Corriere della Sera” dell’11 ottobre 2012

Il Concilio Vaticano II (ottobre 1962-dicembre 1965) con i suoi 2.540 «padri» fu la più grande assemblea deliberante nella storia della Chiesa cattolica e una delle più vaste nella storia dell’umanità.

Decise riforme in campo biblico, liturgico, ecumenico e nell’organizzazione della vita interna alla Chiesa. Su quelle decisioni non è mai cessata la disputa in questo mezzo secolo, ma nessuna di esse è stata rigettata dal corpo della Chiesa o ritratta dai Papi, anche se la loro applicazione è avvenuta solo in parte, specie per quanto riguarda la vita interna alla comunità cattolica.

Il Vaticano II ha riformato la liturgia: ha introdotto nelle celebrazioni le lingue parlate, ha rinnovato i riti, ha promosso le concelebrazioni. Con le riforme venute dopo il Concilio sono stati girati gli altari e i messali sono stati integralmente tradotti nelle lingue moderne. La riforma liturgica oltre che la più visibile è stata anche la più contestata e fu all’origine dello «scisma» (rottura) tradizionalista dei lefebvriani, l’unico scisma formale seguito al Vaticano II.

Legata alla riforma liturgica è la riforma biblica che è consistita in un ampliamento dell’uso comunitario della Scrittura rispetto a come esso era stato normato dal Concilio di Trento, che ne aveva fatto una prerogativa del clero e l’aveva vincolato all’antica traduzione ufficiale in latino (Vulgata): è stata offerta una più ampia scelta di testi biblici nelle celebrazioni ed è stata promossa la lettura personale e di gruppo della Scrittura da parte dei fedeli.

Il Concilio ha impegnato la Chiesa cattolica nel cammino di riavvicinamento tra le Chiese in vista dell’unità dei cristiani: è la riforma ecumenica. Prima del Vaticano II il cattolico doveva avere un permesso speciale per partecipare a incontri di preghiera o di «dialogo» con cristiani non cattolici, mentre ora quella partecipazione è raccomandata e incontri di quel tipo sono promossi dalla stessa Chiesa cattolica.

In analogia alla riforma ecumenica, sono stati rivisti principi e metodi del rapporto con gli ebrei e con le religioni non cristiane. Il Vaticano II ha condannato l’antisemitismo e ha proclamato che i cristiani devono essere amici degli ebrei: è sulla scia dei suoi insegnamenti che Giovanni Paolo II li ha chiamati «fratelli maggiori» e che egli e il suo successore hanno visitato sinagoghe e hanno pregato al Muro del Pianto a Gerusalemme nell’anno 2000 e nel 2009; in ambedue le circostanze i due Papi e i rabbini loro ospiti hanno pregato con un Salmo ciascuno, cioè con brani dello stesso libro della Bibbia. Questo non era stato mai possibile nella storia antecedente al Vaticano II.

Senza il Concilio, non sarebbero state possibili le giornate interreligiose di Assisi del 1986 e del 2011 che i papi Wojtyla e Ratzinger hanno promosso in funzione del comune impegno per la pace.

Il Concilio ha voluto il dialogo e la collaborazione con gli uomini di buona volontà a promozione della pace e della giustizia e ha riconosciuto la libertà religiosa. Qui il cambiamento è grande.

Nel «Sillabo» di Pio IX (1864) è scritto: «Sia anatema chi afferma che si possa cambiare religione per seguire il convincimento personale». Benedetto XVI invece nell’esortazione «Ecclesia in Medio Oriente» (2012) afferma il diritto di ognuno alla «libertà di scegliere la religione che si crede essere vera».

A partire dal Vaticano II si è realizzata una radicale modifica dell’immagine degli uomini di Chiesa, compresa la figura papale, nel senso di un loro avvicinamento — nelle vesti, nel linguaggio, nei gesti della vita ordinaria — alla comune umanità. E sono comparse figure nuove: il diacono permanente, il ministro straordinario dell’Eucarestia, il lettore, l’accolito. Più di un Sinodo ha chiesto a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI di rivedere le norme riguardanti i «ministeri ordinati», per renderli meglio accessibili ai laici e alle donne, ma ancora non è stato fatto.

Il Concilio e i «mea culpa» dei Papi conciliari hanno spostato — nella percezione collettiva — la collocazione culturale, sociale e politica della Chiesa cattolica. Prima del Vaticano II la Chiesa di Roma era percepita globalmente come appartenente al blocco conservatore e in atteggiamento di contrasto con molte acquisizioni delle società democratiche e pluraliste. Zone di contrasto vi sono anche oggi, ma in più luoghi e occasioni, lungo questo mezzo secolo, le comunità cattoliche si sono battute per le libertà sindacali e politiche, contro le dittature e contro le guerre.

Infine il Vaticano II ha promosso partecipazione e concertazione all’interno della Chiesa. È come se la convocazione del Concilio fatta da Giovanni XXIII non fosse mai cessata e si fosse instaurato una specie di Concilio permanente: periodicamente si riuniscono i Sinodi e le Conferenze Episcopali, nelle diocesi si fanno i Sinodi locali.

Questo tuttavia è anche il settore della riforma conciliare dove il risultato è stato più parziale: la «pari dignità» di tutti gli appartenenti alla Chiesa è stata affermata ma non è stata realizzata, in particolare per quanto riguarda le donne. Analogamente è stata affermata la natura «collegiale» del governo della Chiesa ma ancora non si sono trovati i modi per rendere effettivo il ruolo dei vescovi in esso.

Con il Concilio, la Chiesa cattolica ha avviato quello che Joseph Ratzinger in un libro-intervista anteriore al pontificato ha definito «il grande balzo nel presente». Tutti i Papi venuti dopo il Vaticano II hanno riaffermato fedeltà alle sue decisioni ma la maggioranza degli osservatori concorda nel ritenere che a partire dalla seconda metà del pontificato di Paolo VI (dal 1967-68) si sia avuta un’applicazione frenata e difensiva del Vaticano II. Temendo divisioni nella Chiesa, quella scelta di Paolo VI è stata poi fatta propria e via via aggiornata alle nuove situazioni da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.

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