Scritto da Michelangelo Nasca |
Giovedì 26 Aprile 2012 09:10 |
La lettera che Papa Benedetto XVI ha recentemente inviato all’episcopato tedesco riapre una antica disputa interpretativa riguardante la corretta traduzione delle parole che il sacerdote pronuncia durante la consacrazione eucaristica. Nello spezzare il pane il presbitero ripete le parole di Gesù: «Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi», nel consacrare il vino viene poi detto: «Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». L’annotazione suggerita dal Pontefice riguarda quest’ultimo passaggio della formula eucaristica, “versato per voi e per tutti”, dove l’espressione latina «pro multis» fu tradotta in italiano «per tutti». Apparentemente i due termini non sembrano registrare una particolare distinzione, Benedetto XVI però nel suo ultimo libro “Gesù di Nazaret.
Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione” spiega il valore pastorale di questa importante precisazione. Nei Vangeli di Marco e Matteo, infatti, dall’originale testo greco “upèr pollôn” (Mc 14, 24) e “perì pollôn” (Mt 26, 28) si traduce letteralmente con “per molti”. Fu il teologo Joachim Jeremias – orientalista ed esegeta tedesco – che cercò di dimostrare che la parola “molti” nell’Antico Testamento indica “la totalità” e che si potrebbe tradurre con “tutti”. Questa tesi – scrive Benedetto XVI nel suo libro – “si è allora presto affermata ed è divenuta una comune convinzione teologica. In base ad essa, nelle parole della consacrazione, il «molti» è stato tradotto in diverse lingue con «tutti». «Versato per voi e per tutti»”. Nel frattempo, però, – ricorda ancora il Pontefice – questa valutazione esegetica è stata nuovamente messa in discussione, e si ritiene che il termine “molti” (pur significando la totalità) non possa essere semplicemente equiparato con l’utilizzo del termine “tutti”. Tale esplicitazione non ha incontrato però il favore di tutti i vescovi, alcuni dei quali vedono in questa particolare sottolineatura il rischio (utilizzando il termine molti) di escludere alcuni dalla salvezza operata da Cristo, e il timore che i fedeli non capiscano il nuovo testo o lo interpretino esclusivamente nel senso di una “restrizione” del numero dei salvati.
Benedetto XVI ha scritto così una lettera all’episcopato tedesco – che ha recentemente tradotto in tedesco “fuer alle” (per tutti) e non più letteralmente, “fuer viele” (per molti) – per spiegare che in questa particolare e originaria traduzione l’«universalità» della salvezza non può essere messa in discussione, così come ricorda San Paolo quando scrive che Gesù «è morto per tutti». Il Pontefice riporta nella lettera i contenuti teologici già proposti nel suo ultimo libro su Gesù di Nazaret, dove, riprendendo le sottolineature di alcuni teologi, chiarisce quanto segue: “secondo la struttura linguistica del testo, l’«essere versato» non si riferisce al sangue, ma al calice; «si tratterebbe quindi di un attivo ‘versare’ del sangue dal calice, un atto in cui la stessa vita divina è donata abbondantemente, senza alcuna allusione all’agire di carnefici » (Gregorianum 89, p. 507). La parola sul calice quindi non alluderebbe all’evento della morte in croce e al suo effetto, ma all’atto sacramentale, e così si chiarirebbe anche la parola «molti»: mentre la morte di Gesù vale «per tutti», la portata del Sacramento è più limitata. Esso raggiunge molti, ma non tutti (cfr in particolare p. 511)”. Ma il problema della parola «molti» – precisa il Papa nel suo libro –, tuttavia, con ciò è spiegato solo in parte. “Che cosa, dunque, dobbiamo dire? – prosegue Benedetto XVI –Mi sembra presuntuoso e insieme sciocco, voler scrutare la coscienza di Gesù e volerla spiegare in base a ciò che Egli, secondo la nostra conoscenza di quei tempi e delle loro concezioni teologiche, può aver pensato o non pensato.
Possiamo solo dire che Egli sapeva che nella sua persona si compiva la missione del Servo di YHWH e quella del Figlio dell’uomo – per cui il collegamento tra i due motivi comporta allo stesso tempo un superamento della limitazione della missione del Servo di YHWH, una universalizzazione che indica una nuova vastità e profondità”. Benedetto XVI, nel testo della sua lettera ai vescovi tedeschi, invita a preparare sacerdoti e fedeli a questa modifica del Messale Romano: “Fare prima la catechesi è la condizione fondamentale per l’entrata in vigore della nuova traduzione”. In Italia si continua a dire «per tutti» ma presto la Cei, nel corso della prossima assemblea prevista per il mese di maggio, concluderà la discussione sul nuovo messale. Qualcuno ripeterà – c’è da scommetterci –, come da manzoniana memoria, le parole che il giovane Renzo rivolse al suo curato: «Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?». Qualcun altro – con le parole di don Abbondio – risponderà: «Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.»!
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