La scelta di Benedetto XVI è per la missione della Chiesa e la verità del mondo

di Bernardo Cervellera

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Nel suo essere liberamente “espropriato” del titolo, il papa compie un gesto di passione missionaria per l’annuncio. La sua decisione per la clausura e la contemplazione mostra la vera radice dell’efficacia di ogni azione cristiana. Quasi tutti i media non percepiscono questa dimensione divino-umana del suo gesto e riducono lo spessore della sua testimonianza a banalità politiche o a svelamenti di trame segrete. Eppure vi è un enorme interesse verso di lui, segno di una segreta speranza.
Pope Benedict XVI in Val d'Aosta

Roma (AsiaNews) – A quattro giorni dall’annuncio che ha scioccato la Chiesa e il mondo, le dimissioni di Benedetto XVI, non si placa l’interesse dei cristiani e dei media internazionali, anche se con risultati diversi.

Fra i fedeli, vescovi e laici, è sempre più evidente che la decisione del papa di riconsegnare il ministero petrino a Cristo e alla Chiesa è un gesto di amore verso entrambi. Esso è dettato non da un desiderio di “abdicare”, di “farsi alla fine gli affari suoi”, ma dalla passione a che la missione della Chiesa abbia ancora più forza. Le sue considerazioni sulla mancanza di vigore che egli scopre nel suo corpo ultra-ottuagenario non sono un semplice riconoscimento di impedimento per “raggiunti limiti d’età”. Come lui stesso ha dichiarato, la sua scelta è spinta dal bisogno di “annunciare il Vangelo”  “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede”. Nella decisione di dimettersi c’è perciò una acuta passione missionaria perché la Chiesa possa trovare nuove vie, nuovi volti e nuove energie da dedicare all’opera che lo ha assorbito per tutta la vita: quella di rendere Cristo vicino all’uomo e soprattutto all’uomo che non lo conosce o lo disprezza.

I teologi spiegano che Cristo si è “espropriato” del suo titolo divino per divenire uomo, fino a morire in croce (Filippesi 2, 6-11); i missionari, soprattutto quelli che vanno in Paesi lontani, vengono “espropriati” della loro cultura per penetrare nelle fibre di altre culture e farsi vicini ad altri popoli. Benedetto XVI in questo slancio per l’annuncio della fede al mondo, si è “espropriato” anche del suo titolo di papa.

In questa nudità della propria offerta a Cristo e alla Chiesa egli continuerà a operare per la missione, ma in una via tutta speciale, che è quella della contemplazione.  Nell’annuncio della sua decisione ai cardinali, egli ha detto: “Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Il soffrire del suo corpo debilitato e la preghiera nella clausura in cui sta per entrare saranno efficaci per la Chiesa quanto la sua parola, i suoi viaggi, le sue pubblicazioni, la sua testimonianza attiva.

In questo passo egli è maestro a tutti i cristiani, preti, vescovi, cardinali, che considerano “indispensabile” il loro ruolo attivo in qualche commissione, lavoro, organizzazione. Benedetto XVI ci sta dicendo con la sua scelta che l’efficacia della vita sta invece nella consegna a Cristo, vera garanzia della fecondità. Lui stesso, in tante omelie e discorsi ha ricordato la fecondità della Piccola Teresa, la carmelitana di clausura che è divenuta patrona delle missioni: una contemplativa, modello dell’attività più acuta e più universale dei cristiani.

Con la sua scelta presa “davanti a Dio” Benedetto XVI è ancora di più “pontefice”, ponte fra Dio e l’uomo. In questo suo passo così estremo e coraggioso veniamo persuasi di più su quanto Cristo sia presente nella vita di uomo, capace di trasformare la debolezza della vecchiaia – tanto rifuggita e nascosta nel nostro tempo – in un sacramento dell’amore a Dio, a sé e al mondo.

Forse è proprio questo carattere della sua scelta così vicino al divino a rendere diversi media così superficiali e ottusi. Senza una sensibilità a questa dimensione verticale, umano-divina, la scelta del papa è solo un altro capitolo di un uomo che va in pensione, il frutto dello sfinimento per battaglie combattute fra partiti nella Chiesa, la mossa scaltra e astuta per “condizionare” elezioni nella Chiesa e nel mondo. Questo mondo non riesce a capacitarsi che si può fare questa scelta per un amore più grande (“Simone, mi ami tu più di costoro?” – Giov. 21, 15) e per questo deve ridurre alle sue corte misure, al pragmatismo degli interessi meschini, al politicantismo che ci riempie di soddisfazione e di disperazione. L’accanimento dei media a cercare secondi motivi, svelare trame nascoste, additare “evidenti” fallimenti è il tentativo disperato di allontanare, banalizzare, cancellare quel Cristo che il gesto del papa ci ha reso ancora una volta così vicino e amorevole.

Ma forse in questo tentativo iconoclasta di inghiottire nel solito fango la perla della sua testimonianza, c’è anche una segreta speranza: che nel materialismo, nel relativismo e nella presunzione ideologica che ci ha inariditi, la verità possa esistere: “E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace/ un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile”.

(R.M. Rilke, Elegie duinesi, II).

Del resto, anche il papa che viene deriso e compianto per i suoi fallimenti è simile, molto simile a Gesù Cristo, che vinceva l’odio del mondo mentre veniva inchiodato alla croce.

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