“Dare a Dio ciò che è di Dio significa che solo a Dio è dovuta l’adorazione, la lode e il culto. Significa che per il suo amore e il suo nome occorre spendere la propria vita per promuovere la pace in Cristo, la giustizia, la promozione umana integrale, la fraternità tra i popoli, la conoscenza di Dio e la piena affermazione del suo Regno d’amore”.
Commento al vangelo della XXIX domenica del Tempo Ordinario – Anno A
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Il potere, in sé stesso, non è un male. Esso nasce per il servizio al bene comune e della crescita della comunità umana. Il rovescio della medaglia è l’esercizio del potere per il controllo e l’assoggettamento delle masse e per il perseguimento di interessi personali non dovuti e che finiscono per sottrarre al prossimo la sua libertà.
Colui che, davanti all’abuso del potere, si pone come voce di denuncia e di verità, diventa un problema, una minaccia.
È il caso di Gesù, inseguito dai suoi avversari in ogni luogo dove egli si recava, con infinite trappole, per farlo apparire un uomo alla ricerca di potere personale. Ma a Gesù il potere del mondo non interessa. Il drammatico confronto fra Gesù e Pilato lo rende chiaro. A Pilato Gesù dira: “Il mio Regno non è di questo mondo”, e ancora “Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse dato da ch8i sta sopra di te”.
La sua unica passione, la sua missione fu fare la volontà del Padre, ossia annunciare a Israele che il Regno di Dio era giunto, nella sua persona. Un regno spirituale, non politico, che nasce e cresce nei cuori e si trasforma in opere di pace e giustizia.
L’annuncio del Regno comportava anche il richiamo alla conversione e la proclamazione dell’amore preferenziale del Padre per gli ultimi, che quindi deve essere anche il nostro.
“Date a Cesare ciò che è di Cesare”. Ma perché? Noi sappiamo che i Cesari di ogni tempo hanno ridotto in miseria i popoli della terra. Non è rimasto quasi nulla che essi possono ancora prendersi. Cosa altro gli si può dare?
La trappola tesa a Gesù è tra le più subdole. È costruita ad arte per fare in modo che, tra le uniche due risposte che i suoi avversari ritenevano possibili, entrambe avrebbero messo Gesù nei guai, o con l’impero o con le autorità religiose giudaiche. Ma Gesù si eleva al di sopra della trappola e va oltre, evitando di caderci dentro.
Cesare rappresenta, ovviamente, l’imperatore, che a quel tempo si faceva adorare come una divinità e imprimeva il suo volto sulle monete, segno, per definizione, del potere. Ma sarebbe errato, oggi, equiparare Cesare, in modo semplicistico, a chiunque svolga un ruolo che comporta l’esercizio di una qualsiasi autorità.
Cesare, piuttosto, è simbolo del potere oscuro, invisibile, di quelle figure senza nome e senza volto che si nascondono dietro le istituzioni, che posseggono i beni di quasi tutta la terra, che decidono come, dove e quando debba scoppiare la prossima guerra e con quale scusa e quale assetto geo-politico ne dovrà risultare quando sarà finita. Allo stesso tempo “Cesare” è anche simbolo di ogni figura (politica, religiosa, culturale o economica) che vive, a qualsiasi livello, in collusione con questi “invisibili”, per i propri fini personali, a danno di milioni di persone che inevitabilmente sprofondano nella miseria.
Eppure, anziché lanciare minacce e avvertimenti a Cesare, Gesù sembra non interessarsi di lui in alcun modo. Perché?
È la seconda parte della frase che ci interessa: “Rendere a Dio ciò che è di Dio”. È questa l’affermazione che ci definisce in quanto cristiani. Il primo è più immediato significato: solo a Dio, è dovuta la nostra lode, la nostra adorazione e il nostro culto. Non è concesso di attribuire agli imperi di questo mondo ciò che appartiene di diritto solo a Dio. Sarebbe un peccato di idolatria.
A Cesare è tolta la pretesa di ergersi al di sopra del mondo. Un giorno sarà giudicato anche lui.
La naturale conseguenza del “rendere a Dio ciò che è di Dio” è vivere la vita con responsabilità e con fede, promuovere la pace in Cristo, promuovere la giustizia, il bene umano integrale, la fraternità, la conoscenza dell’amore di Dio e la sua paternità.
Significa edificare un nuovo tipo di comunità umana che promuova la comunione come suo respiro e che faccia crescere il Regno di Dio nel mondo, fino alla piena e definitiva manifestazione di Gesù alla fine dei tempi.
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