Una interessante ricerca di Trends in Genetics mostrerebbe che il genere umano avrebbe superato l’apice della sua evoluzione tra i 6000 e i 2000 anni fa. Poi le sicurezze offerte dalla società ne hanno provocato l’inizio di quello che se sarà un lunghissimo processo involutivo. Perché la selezione naturale oggi agisce su individui che dalla società sono stati resi più sicuri, più protetti e, dunque, meno adatti alle abilità di sopravvivenza.
Se ciò fosse vero, la ricerca metterebbe, indirettamente, in luce un fattore: la selezione naturale tiene conto dell’individuo, della sua capacità di sviluppare strumenti di adattamento per sopravvivere e per procreare. Ma la selezione naturale non tiene conto della vocazione naturale dell’uomo alla socialità, in forza della quale vengono trasferite al corpo sociale quelle preoccupazioni che migliaia di anni fa, prima della civiltà, erano a carico del singolo individuo. L’uomo può risultare meno capace di sopravvivere in una giungla, ma ha sviluppato enormi potenzialità sociali che gli hanno permesso, attraverso la tecnologia, di allungare la vita e di sfuggire all’estensione. E così, se la selezione naturale afferma che l’uomo sia diventato meno intelligente a causa del progresso, proprio a causa del progresso, il bagaglio di intelligenza si è trasferito dall’individuo all’intera società, garantendo a tutti gli individui del genere umano infinite possibilità di sopravvivenza.
Alla luce di tutto ciò, la visione, secondo la fede, a partire dalla quale l’uomo possiede una vocazione comunitaria e in essa compie la sua vera identità e natura, sarebbero in grado di dire che la selezione naturale non sarebbero l’ultima parola sul l’evoluzione del genere umano, ma la sua capacità di creare società e di elevarsi al di sopra di se stesso alla ricerca di Dio.
(EC)
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Siamo stupidi perché viviamo di più così il progresso danneggia l’intelligenza
Studio dell’università di Stanford: l’uomo ha raggiunto il picco della sua evoluzione cerebrale oltre 2000 anni fa, poi la ‘rete di sicurezza’ della società ha causato l’impigrimento e la recessione dell’intelletto. Gli li esperti: ma l’essere umano per fortuna ha una straordinaria capacità di adattamento
di SARA FICOCELLI – La Repubblica 25 novembre 2012
SIAMO meno intelligenti di 2000 anni fa, l’evoluzione in questo caso ha giocato a nostro sfavore: il nostro cervello, secondo le teorie di Darwin e i principi della genetica, negli ultimi due millenni si è evoluto di pari passo con il nostro stile di vita, ma ‘cambiamento’ non sempre è stato sinonimo di miglioramento. Il rapporto tra progresso tecnologico ed evoluzione neurologica – secondo Gerald Crabtree, un genetista dell’università di Stanford – ha fatto impigrire le abilità cognitive mano a mano che la vita è diventata più comoda. In poche parole, rendendoci più stupidi.
La tesi, pubblicata su Trends in Genetics, affonda le radici nella madre delle teorie evoluzionistiche, quella della selezione naturale, partendo dal presupposto, semplicissimo, secondo cui un tempo l’essere umano pagava duramente, spesso con la vita, il prezzo della propria stupidità, perché bastava un errore qualsiasi, una distrazione banale, per perdere un’opportunità di sopravvivenza.
La selezione naturale a favore dei soggetti più astuti avveniva dunque in maniera spietata e istantanea, salvo sporadici colpi di fortuna. Oggi, proprio grazie al progresso, tutti abbiamo non una, non due, ma infinite possibilità di sopravvivenza, salvo sporadici colpi di sfortuna. Ma quello che in termini strettamente vitali rappresenta un vantaggio, a livello evoluzionistico si traduce in un progressivo passo indietro, perché elimina quasi del tutto qualunque tipo di selezione naturale a favore dei soggetti più scaltri.
“Un tempo, se un cacciatore/raccoglitore non riusciva a risolvere il problema di come trovare il cibo, moriva e con lui tutta la sua progenie – spiega Crabtree – mentre oggi un manager di Wall Street che fa un errore riceve un cospicuo bonus e diventa un maschio più attrattivo. La selezione naturale non è più così estrema”.
Gli ultimi studi sull’argomento, continua il genetista, hanno individuato dai due ai 5000 geni legati all’intelligenza, rilevando che ogni generazione porta con sé due o tre mutazioni. In assenza di selezione, gli ultimi 3000 anni sono stati dunque un arco di tempo sufficiente per ‘inquinare’ il Dna umano nel giro di 120 generazioni: “In rapporto al nostro antenato di qualche migliaio di anni fa, la nostra intelligenza è sicuramente più debole – precisa Crabtree – per fortuna la società è abbastanza forte da contrastare l’effetto”.
L’umanità, stando al report del genetista, avrebbe dunque già vissuto il suo momento di gloria e, almeno da un punto di vista evoluzionistico, sarebbe sul viale del tramonto. Come sottolinea anche il Guardian, ancor prima dell’invenzione dell’agricoltura e della scrittura, quando l’essere umano viveva di ciò che riusciva a cacciare, chi compiva un passo falso soccombeva alle leggi della natura, e ad andare avanti e a riprodursi erano i più forti e intelligenti.
Poi, con l’invenzione dell’agricoltura e la nascita delle prime comunità stanziali, la forza intellettuale è cominciata a calare in modo progressivo. Non a caso, spiega ancora lo studioso, la Storia incorona il periodo della Grecia classica come uno dei più intellettualmente fecondi. “Siamo una specie sorprendentemente fragile dal punto di vista intellettuale – conclude Crabtree – e probabilmente abbiamo raggiunto il nostro picco di intelligenza tra i 6000 e i 2000 anni fa. È sufficiente che la selezione naturale diventi meno severa, che subito il nostro patrimonio intellettuale si indebolisce”.
Malgrado tutto, Crabtree chiude con una nota positiva: anche se il nostro genoma sembra diventare ogni giorno più fragile, la società può contare su un forte sistema di trasmissione delle conoscenze che, diversamente rispetto al passato, riesce a diffondere la cultura velocemente e in modo capillare.
Evoluzione psicologica ed evoluzione genetica però non sono la stessa cosa e l’essere umano, sottolineano gli esperti, è da sempre dotato di una grande capacità adattativa. Studi recenti sulla risposta cerebrale agli stimoli hanno ad esempio dimostrato che, alla somministrazione di un farmaco, il cervello risponde entro 24-48 ore con la produzione di un nuovo tipo di RNA ricombinante, che permette alle cellule di agire sui propri geni, riparandoli o trasformandoli.
“I primi effetti sull’umore o sul comportamento – spiega la psichiatra e psicoanalista Adelia Lucattini, presidente della Sipsies, Società internazionale di psichiatria integrativa e salutogenesi di Roma – si vedono dopo qualche settimana e talvolta qualche mese, perché il cervello è un organo complesso come struttura e per le funzioni che svolge. Questo ci fa capire come le persone abbiano potuto sviluppare una capacità adattativa all’ambiente sofisticata come quella attuale”.
L’evoluzione ha permesso e permette insomma, spiega la psichiatra, di muoversi in una società complessa come la nostra proprio grazie a questa capacità della mente di trasformarsi e apprendere dall’esperienza. “La selezione – precisa Lucattini – è semmai un danno collaterale che si subisce quando fallisce la solidarietà sociale e umana tra persone e gruppi di appartenenza, a partire dal nucleo familiare”.
Anche Elia Stupka, condirettore del Centro di genomica traslazionale e bioinformatica del San Raffaele di Milano, è convinto che la capacità di adattamento dell’essere umano sia più forte dell’indebolimento provocato dalla vita moderna. “La teoria proposta mi pare un po’ troppo semplificativa – spiega – e anzi credo che l’aumento della variabilità genetica avvenuto nel corso dei secoli abbia reso il nostro cervello più plastico e funzionale. Le comodità fornite dal progresso hanno sicuramente apportato dei cambiamenti, ma non è detto che siano stati negativi. La mancanza di selezione ha favorito questa variabilità e, dal mio punto di vista, ci ha resi più complessi e completi. Quando si toccano certi argomenti è impossibile stabilire cosa è bene e cosa è male, distinguere il bianco dal nero”.
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Se Leonardo Da Vinci potesse sedersi oggi in un’aula di una quinta elementare e frequentare qualche lezione di scienze, si troverebbe suo malgrado ad ammettere che un bimbetto italiano di 10 anni possiede nel 2012 maggiori cognizioni scientifiche di quante ne avesse lui a cinquant’anni suonati. Questo non vuol dire però che i bambini di dieci anni siano più intelligenti di quanto fosse Leonardo. Se da un lato infatti lo straordinario accumularsi di conoscenze sulla natura, l’universo, la meccanica, la società in cui viviamo danno l’impressione di un aumento impressionante della quantità di cose che sappiamo o che potremmo sapere, dall’altra l’essere umano medio non necessariamente riesce a stare al passo con queste conoscenze. E sempre più abbiamo il sospetto, anche solo uscendo per strada, che dopotutto i nostri simili non stanno diventando affatto più intelligenti. Anzi. Un sospetto che condivide anche la comunità scientifica, che sta cercando di capire se l’umanità è destinata a diventare più intelligente o più stupida nel corso dei prossimi secoli e (auspicabilmente) millenni.
Più intelligenti dei nostri genitori
Rispetto ai propri genitori, i bambini di oggi hanno un QI mediamente più elevato di 10 punti.
Dall’inizio del secolo scorso a oggi, il quoziente intellettivo medio della popolazione umana è aumentato a un ritmo costante di 3 punti al decennio ossia 0,3 punti l’anno. La scoperta fu opera di un ricercatore americano, James R. Flynn, negli anni ’70, e fu confermata dalle analisi statistiche dei decenni successivi. Il cosiddetto “effetto Flynn” sembra dunque essere la dimostrazione di un aumento delle nostre capacità intellettive con l’andare degli anni. In media, i bambini di oggi hanno un QI di 10 punti più elevato dei loro genitori. La cosa che però ha sorpreso gli scienziati è che questa crescita di 0,3 punti l’anno è costante e non mostra né rallentamenti né accelerazioni. Tanta regolarità appare sospetta. Per capire il perché, basta capire come funziona un test di misurazione del QI. Tutti noi ne avremmo svolti alcuni e sappiamo che riguardano sequenze numeriche, ricerca di sinonimi di vocaboli poco comuni e analogie tra concetti astratti. Ebbene, mentre nelle prime due categorie i risultati dei test non sono migliorati nel tempo, nell’ultimo caso sì.
Sembra che gli esseri umani di oggi siano più bravi a ragionare per concetti astratti. La nostra società è diventata meno legata a realtà concrete: non dobbiamo cacciare animali per mangiarceli, li andiamo a comprare già pronti al supermarket. Eppure sappiamo che la carne che mangiamo non cresce nei supermarket: questa conoscenza dipende dalla nostra capacità di ragione per astrazioni. Se non possedessimo queste capacità, sostengono oggi i ricercatori, non saremmo in grado di gestire il mondo moderno. A partire dalla rivoluzione industriale, la nostra vita ha avuto a che fare con concetti sempre meno concreti: la finanza, l’informatica, l’elettromagnetismo, la teoria della relatività, ma anche cose come sfiorare un pulsante su uno schermo touchscreen.
Più veloci, più astratti e più stupidi?
Analogamente, sta aumentando la nostra velocità di risposta alle domande di un test QI. Il nostro cervello sta diventando più veloce perché siamo costantemente bombardati da stimoli che necessitano di risposte rapidissime. Pensiamo a quando guidiamo in una città trafficata dove magari gli autisti non sono troppo disciplinati: una distrazione di meno di un secondo potrebbe farci andare a sbattere contro un altro veicolo. All’aumentare della velocità dei computer aumenta la rapidità della nostra risposta di reazione, e allo stesso tempo migliora il nostro multitasking, che ci consente di portare avanti diverse attività contestualmente. Una persona di sessant’anni oggi avrebbe serie difficoltà a giocare a videogiochi molto complessi come quelli attuali che invece un ragazzino di tredici anni affronta senza troppe difficoltà: i videogames hanno un ruolo molto importante nello stimolare la capacità di astrazione e la velocità di reazione delle giovani generazioni, sia perché si ambientano in scenari slegati dalla realtà concreta dove magari esistono regole diverse, che quindi impongono all’utente l’uso di categorie analogiche, sia perché richiedono azioni molto veloci (per esempio una partita a calcio su un simulatore).
I videogames stimolano una maggiore capacità di astrazione, di multitasking e di velocità di reazione che influisce sul QI.
Tutto ciò però potrebbe non tradursi in un reale vantaggio evolutivo. Anzi, come dimostrerebbe una ricerca appena pubblicata su Trends in Genetics, la specie umana è oggi meno intelligente di quanto fosse decine di migliaia di anni fa, quando i nostri antenati cacciavano, raccoglievano e iniziavano i primi esperimenti di agricoltura. Lo sviluppo dell’intelligenza a livello evolutivo ha permesso all’essere umano di primeggiare sui suoi predatori e pian piano di diffondersi in tutto il mondo: ci ha portati a diventare da scimmie a esseri che parlano, costruiscono e utilizzano strumenti per migliorare la loro vita. Ma da allora non abbiamo acquisito ulteriori vantaggi evolutivi, anzi: la maggior parte degli esseri umani oggi non sopravvivrebbe in un contesto come quello dell’Africa dei Grandi Laghi, dove la nostra specie ha iniziato a evolversi. Secondo Gerald Crabtree, ricercatore alla Stanford University e autore dell’articolo, “un cacciatore-raccoglitore che non trovava una giusta soluzione per procacciarsi il cibo e ottenere un riparo probabilmente moriva, insieme alla sua progenie, laddove un moderno funzionario di Wall Street che facesse simili errori riceverebbe un bonus e diventerebbe più attraente come potenziale partner”. Certo, chiarisce Crabtree, “la selezione estrema è una cosa del passato”, però non sembra che la nostra capacità di giocare a scacchi o scrivere una sinfonia ci abbia resi più abili dei nostri antenati. Sono due tipi diversi di intelligenza, quindi: solo il futuro potrà dirci quale delle due garantirà alla nostra specie di perdurare nei secoli.
(Da http://scienze.fanpage.it/stiamo-diventando-piu-intelligenti-o-piu-stupidi/#ixzz2DItnDoGb
http://scienze.fanpage.it)
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