Commento al vangelo della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
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Quando il cristianesimo cominciò a diffondersi all’interno dell’Impero Romano, divenendo un movimento religioso importante, i pagani cominciarono a sentirsi minacciati. Ben presto l’impero fu travolto da ondate successive di persecuzioni per sterminare gli appartenenti alla nuova fede emergente. L’impero era attraversato dal terrore. A molti cristiani sembrò che stesse arrivando la fine del mondo. Molti si chiedevano come mai Gesù non fosse già ritornato, come aveva promesso, ora che i cristiani stavano affrontando le persecuzioni.
Con la testimonianza dei santi e dei martiri, i fedeli furono aiutati a non vivere nella paura di quanto stava avvenendo. Molti abbandonavano la fede per la paura di finire uccisi. Tuttavia, la fede delle comunità era forte. I fedeli si riunivano, con una grande carica di speranza, pregavano, e celebravano l’Eucaristia, sostenuti dai loro pastori in un tempo di grandi sconvolgimenti.
Piuttosto che cedere al panico, la Chiesa degli inizi capì che doveva chiedersi cosa stesse chiedendo Dio a loro con le tribolazioni e la persecuzione.
Oggi, in molte parti del mondo, essere cristiani è un crimine che si paga anche con la vita. I cristiani sono uccisi, decapitati, crocifissi ai pali della luce e ai recinti, solo in nome della loro fede.
In Europa si sta diffondendo un altro tipo di persecuzione, non fatta con la spada ma con le idee. Attraverso la conquista dei luoghi dove si produce cultura, si sta inculcando alle nuove generazioni una visione del mondo che punta a cancellare ogni segno di Dio dalla vita pubblica e privata. Il cristianesimo e la Chiesa sono descritti come il male assoluto, la causa di tutti i mali, un cancro che bisogna estirpare a ogni costo.
Bambini, ragazzi e giovani, se sono vicini a Cristo e attivi nella chiesa, sono ridicolizzati, emarginati, esclusi e molti adulti preferiscono abbandonare ciò che resta della fede piuttosto che subire questa forma subdola di persecuzione.
La nostra generazione non ha conosciuto né la guerra né la fame. Eppure, abbiamo perso la carica di speranza e la forza della fede con cui i primi cristiani, in mezzo alle persecuzioni di sangue, diffusero la fede dappertutto. Viviamo impauriti del giudizio del mondo, in silenzio. Abbiamo perso la capacità di dire al mondo una parola di speranza, perché noi stessi non attendiamo più il ritorno finale di Gesù, credendo che si tratti di una cosa che riguarda le future generazioni, chissà fra quante migliaia di anni.
Quando Gesù annuncia gli ultimi tempi, non intende farci chiudere nella paura. Piuttosto egli vuole provocare in noi un potente risveglio della fede, della speranza e della carità.
Davanti agli sconvolgimenti del nostro tempo, non possiamo restare muti. Dobbiamo capire cosa il Signore ci sta chiedendo e quale strada ci sta indicando di percorrere per dare al mondo la luce che cerca.
Le tribolazioni del tempo presente passeranno. Tutto passerà. Cieli e terra passeranno. Solo Gesù e la sua parola resteranno in eterno. Se abbiamo in noi la sua parola, la fede vincerà la paura. Il nostro non è un tempo di paura. È un tempo di testimonianza.
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