Evangelii Gaudium. Carrón: insieme al Papa nelle periferie dell’umano

Avvenire 7 dicembre 2014

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Sessant’anni fa don Giussani ripro­poneva al liceo Berchet di Milano la sfida del cristianesimo come rispo­sta ragionevole ed entusiasmante alle esi­genze di ogni uomo. E nel 2005 alla sua morte don Julian Carrón raccoglieva il te­stimone del fondatore.

Nell’Esortazione apostolica «Evangelii gaudium», Francesco indica il cammino della Chiesa per i prossimi anni. Don Carrón, lei guida la Fraternità di Cl. Co­s’ha da imparare il movimento da queste indicazioni?

Siamo sfidati a rinnovare l’incontro per­sonale con Cristo, ogni giorno e senza so­sta. È qui l’origine della «conversione pa­storale e missionaria» che viene sollecita­ta dal documento. Francesco dice chiara­mente che la sorgente dello slancio mis­sionario è un uomo che vive della memo­ria grata di Cristo e vuole condividere la gioia provocata dal Vangelo. Lui indica il punto sorgivo, chiede che l’annuncio si concentri sull’essenziale.

 

Il Papa scrive che il cristianesimo non di­spone di un unico modello culturale e che, «restando pienamente se stesso, nel­la totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porta an­che il volto delle tante culture e dei po­poli in cui è accolto e radicato». Come ac­cade questo nel vostro movimento, che ha messo radici in molti Paesi?

La presenza di nostre comunità in 80 Pae­si, in contesti molto diversi, e le amicizie nate con persone di tradizione ortodossa, anglicana, ebraica, musulmana, buddista, testimoniano che quando si punta sul­l’essenziale si può entrare in dialogo col cuore di ogni uomo a qualsiasi latitudine. Accadono fatti commoventi: una donna africana non riusciva ad avere figli, la fa­miglia del marito premeva su di lui per­ché l’abbandonasse, come vuole la tradi­zione locale. Ma l’uomo, vedendola così lieta nell’espe­rienza che viveva nella comunità di Cl, ha resistito alle pres­sioni non volendosi privare della gioia della fede che lei te­stimoniava, e che e­ra più grande del­l’impossibilità di ge­nerare. È un piccolo-grande esempio di come il cristianesimo valorizza ed esalta tutto l’umano.

 

Nel documento viene sottolineato il va­lore dell’esperienza come veicolo privi­legiato per la trasmissione della fede. E nella pedagogia di Cl l’esperienza svolge un ruolo fondamentale. Da più parti, spe­cie in ambienti legati al tradizionalismo, arrivano critiche sul pericolo che l’enfa­tizzazione dell’esperienza personale metta in ombra il riferimento rigoroso alla dottrina e quindi rappresenti un at­tentato alla verità. Lei che ne pensa?

Papa Francesco si colloca nella scia dei suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Pao­lo VI, quando affermavano che «l’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, piu all’esperienza che alla dot­trina, più alla vita e ai fatti che alle teorie» ( Redemptoris Missio 42; cfr. Evangelii Nun­tiandi 21, 41, 76). Solo se l’uomo speri­menta la pertinenza della verità della fe­de alle esigenze della vita può trovare ra­gioni adeguate per aderire ad essa. Nel cri­stianesimo la verità è diventata carne per­ché l’uomo potesse farne esperienza e, co­sì, trovare i motivi d’una adesione piena­mente ragionevole. È quanto è accaduto ai primi: Andrea e Giovanni non sapeva­no chi era quell’uomo, ma lo hanno se­guito per la corrispondenza umana che hanno scoperto nell’incontro con Lui. Nessuno li aveva mai guardati così prima di allora!

 

Francesco sottolinea che i movimenti so­no una ricchezza della Chiesa che lo Spi­rito suscita per evangelizzare tutti gli am­bienti. E aggiunge che «è molto saluta­re » che non perdano il contatto con la parrocchia «e si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa par­ticolare». Come vivono i ciellini questo rapporto, che in passato è stato mo­tivo di incompren­sioni e contrasti?

Il Papa sta chieden­do di uscire verso le periferie esistenziali per incontrare tutti, credenti e non cre­denti, senza aspetta­re che gli uomini vengano a cercarci. Lui per primo sta dando l’esempio, con le sue parole e la testimonianza che of­fre. Cl è nata e si è diffusa negli ambienti – scuole, università, lavoro, quartieri – ma i ciellini non snobbano affatto le parroc­chie. Solo nella diocesi di Milano ce ne so­no quattromila impegnati a vario titolo: catechismo, cori, società sportive, dopo­scuola, attività educative negli oratori. Ri­proporre una contrapposizione o una ri­valità tra Cl e le Chiese locali è qualcosa che non corrisponde al vero: il compito a cui il Papa chiama tutti è la collaborazio­ne all’unica missione della Chiesa, anda­re incontro agli uomini per testimoniare la gioia del Vangelo. Dobbiamo tutti sposta­re il baricentro.

 

Il primo documento scritto interamente da Francesco è dedicato all’evangelizza­zione, ed è stato firmato il giorno stesso in cui si è concluso l’Anno della fede in­detto da Benedetto XVI. C’è dunque una forte continuità tra due pontefici che molti continuano a descrivere come mol­to diversi?

È la passione per Cristo ciò che accomu­na Benedetto e Francesco. Il primo ha in­tercettato la necessità di ripartire dai fon­damentali, il secondo ha raccolto il testi­mone insistendo sull’urgenza missiona­ria. Entrambi hanno chiara la percezione che la fede non può più essere un dato scontato e che all’origine della missione c’è l’urgenza della conversione personale. Francesco lo dice a chiare lettere all’inizio dell’Evangelii gaudium (n. 7): «Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Be­nedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: ‘All’inizio dell’essere cristia­no non c’è una decisione etica o una gran­de idea, bensì l’incontro con un avveni­mento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzio­ne decisiva’». Qui emerge chiaramente ­nella differenza dei temperamenti e delle sensibilità che ovviamente rimane (e che è sempre una ricchezza) – l’unità d’inten­ti. Ma scusi, chi davvero conosce e vive la Chiesa poteva pensare altrimenti?

 

Giorgio Paolucci

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