“La fede in Cristo Figlio di Dio è la chiave che sblocca le porte del cielo“
Commento al vangelo della XXI domenica del Tempo Ordinario Anno A
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Quando Gesù iniziò il suo ministero, la confusione sulla sua persona era notevole. Non era per nulla facile credere che il figlio di un carpentiere, un giorno, senza preavviso, si presentasse in una sinagoga annunciando di essere niente meno che il Messia, il prescelto da Dio per restaurare la casa d’Israele.
Chi era veramente quest’uomo? Cosa voleva? Le sue parole erano irresistibili. Ma erano vere? E le sue guarigioni? C’era chi diceva che erano tutte messe in scena per ingannare la gente. Qual era il vero obiettivo di questo predicatore?
Pur credendo in lui, anche i suoi discepoli erano confusi sulla sua identità e sui suoi programmi, finché arriva il giorno in cui Gesù rompe gli indugi e rivolge loro la domanda esplicita. “Voi chi dite che io sia? Chi sono, cosa sono per voi? Cosa rappresento per le vostre vite e le vostre aspettative, per quelle domande, le preoccupazioni, anche le paure che albergano nel profondo dei vostri cuori”?
Tutti erano confusi. Nessuno sapeva cosa dire, finché parlerà Simon Pietro.
La risposta di Pietro è la prima vera professione di fede attestata nel vangelo sull’identità profonda di Gesù: “Tu sei il Figlio di Dio”. È qui che Pietro riceve da Gesù il suo nome, che significa “roccia”. Pietro, la roccia sulla quale Gesù avrebbe costruito la sua Chiesa. Pietro, colui che professò per la prima volta la sua fede che rimarrà in eterno, come la roccia.
Oggi, dopo 2000 anni, la domanda è posta a noi. A noi che vediamo le Chiese svuotarsi anno dopo anno. A noi che vediamo i nostri giovani abbandonare una fede che forse non hanno mai avuto la gioia di avere. Chi è per noi Gesù? Cosa rappresenta per noi, nel profondo dei nostri cuori? Cosa rappresenta per le nostre ansie da XXI secolo, per le nostre proccupazioni, le nostre domande profonde, per la nostra ricerca di risposte? Siamo,noi, disposti a rischiare di mettere la nostra vita nelle sue mani, a chiamarlo, come fece Pietro: “Figlio di Dio” oppure come fece Tommaso la sera di Pasqua: “mio Signore e mio Dio”? Gesù è per noi, per me, il “mio Signore e il mio Dio”?
Oppure è divenuto, come vuole la società liquida, una entità astratta, senza personalità, senza volto, senza cuore, una realtà vaga, senza contorni, senza significato e senza senso, liquida e vaporosa, come, del resto, tutto ciò che caratterizza l’esistenza oggi?
Il cristianesimo, in quanto società, nei paesi cosiddetti avanzati, sta evaporando. E’ dentro un processo di liquefazione e di evaporazione. Sta evaporando dalla società e dai cuori. È inutile che ci giriamo intorno. E la responsabilità è nostra perché abbiamo ridotto tutto a semplice codice del buon comportamento.
Gesù oggi rivolge a noi quella domanda e noi gli dobbiamo una risposta chiara. Dobbiamo ripartire dalla “roccia”, tornare alla professione fede di Pietro. Dobbiamo ritornare a dare alla nostra fede la solidità di una roccia.
Dobbiamo ritornare a parlare di Gesù e ad essere cristiani credibili. E la più grande testimonianza della nostra fede è quella di vivere la fraternità cristiana, ossia edificarci come comunità cristiana, in nescando il processo inverso all’evaporazione del cristianesimo. E’ una fraternità che deve saper guardare al mondo e estendere ad esso la propria esperienza di Dio.
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