Hugh O’Flaherty, il prete irlandese che, durante la guerra, salvò 6500 ricercati dai nazisti…
ANDREA TORNIELLI –Vatican Insider 21/09/2012
Città del Vaticano
Si era guadagnato il soprannome di «primula rossa» del Vaticano e la sua storia era divenuta ancor più famosa nel 1983, grazie al film «The Scarlet and the Black» interpretato da Gregory Peck: sta per essere commemorato a Roma padre Hugh O’Flaherty, il sacerdote irlandese che in tempo di guerra aiutò migliaia di perseguitati e di ricercati a fuggire dalla cattura da parte dei nazisti.
(padre O’Flaherty rappresentato con con i molti travestimenti con i quali riuscì a sfuggire la cattura e la condanna a morte, emessa contro di lui, da eseguire a vista)
Nato nel 1898 nel sud dell’Irlanda, O’Flaherty perse molti amici durante la guerra d’indipendenza irlandese e in quel periodo crebbe il suo sentimento anti-inglese. Un sentimento che superò completamente aiutando tantissimi soldati britannici negli anni del secondo conflitto mondiale. Ordinato prete nel 1925, divenne vice-rettore del collegio di Propaganda Fide e quindi entrò nel servizio della diplomazia vaticana in Palestina, poi ad Haiti e Santo Domingo e infine in Cecoslovacchia. Nel 1938 prese servizio al Sant’Uffizio, abitando al Collegio Teutonico, all’interno del Vaticano. Appassionato di sport, giocava a golf e vinse tornei di pugilato. Sui campi da golf di Ciampino conobbe l’ambasciatore britannico presso la Santa Sede, D’Arcy Osborne, che lo avrebbe aiutato a nascondere, procurare cibo, abiti e mezzi di trasporto per i soldati alleati nascosti a Roma.
Dopo la caduta di Mussolini e l’armistizio firmato dal governo italiano con gli Alleati, migliaia di prigionieri inglesi e americani vennero liberati. Dopo l’occupazione tedesca, molti di essi cercarono rifugio a Roma e bussarono alle porte del Vaticano. O’Flaherty si metteva usciva quotidianamente davanti all’Arco delle Campane, per incontrare e aiutare chiunque avesse bisogno. Grazie all’aiuto del principe Filippo Andrea Doria Pamphilj, dell’ambasciatore Osborne, e di altri, il sacerdote irlandese riuscì a salvare la vita a oltre 6500 persone, inglesi, americani, appartenenti alla comunità ebraica, e di altre nazionalita. Amava ripetere: «God has no country», Dio non ha nazionalità. Alla fine della guerra padre O’Flaherty riceverà la gran croce dell’impero britannico e la medaglia d’onore del Congresso degli Stati Uniti.
I suoi superiori conoscevano la sua attività, ed è difficile anche soltanto immaginare che il Papa Pio XII, Prefetto del Sant’Uffizio, non fosse a piena conoscenza di ciò che il sacerdote faceva, nascondendo persone nel Collegio Teutonico e stampando un gran numero di passaporti vaticani e di permessi di soggiorno per aiutare chi aveva bisogno di lasciapassare.
L’episodio più noto della vita di O’Flaherty accadde a Roma nell’autunno 1943. Il colonnello Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, conosceva l’attività clandestina del prete irlandese e aveva cercato più volte di ucciderlo. Un giorno O’Flaherty si era recato a palazzo Doria Pamphilj in via del Corso e per ricevere dei soldi dal principe. I tedeschi, venuti a sapere della sua presenza, circondarono l’intero stabile. O’Flaherty si rifugiò in cantina, e visto che c’era un uomo che stava consegnando il carbone per l’inverno, si travestì da carbonaio, uscendo dalla cantina e passando accanto ai soldati tedeschi. Kappler rimase nel palazzo per due ore, cercandolo invano in ogni anfratto. Dopo la guerra, O’Flaherty sarebbe andato una volta al mese a Gaeta per far visita a Kappler, accogliendolo nella Chiesa cattolica. Tornato in Irlanda all’inizio degli anni Sessanta, O’Flaherty morì nel 1963.
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