A qualche vescovo, spaventato dalle aperture del Concilio al mondo e alla libertà religiosa, il futuro Papa Luciani rispose: fate meglio il catechismo.
La risposta non costruire trincee per difendere il cattolicesimo contro un mondo, ritenuto la fonte e il luogo di tutti i mali.
Così il futuro Giovanni Paolo I ha vissuto il Concilio
Andrea Tornielli – Vatican Insider 6/08/2012 Città del Vaticano
Le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, previste per il prossimo ottobre, cadono in un momento nel quale l’interpretazione dei testi conciliari è un tema d’attualità nella vita della Chiesa, dopo l’ormai celebre discorso di Papa Ratzinger (dicembre 2005) sulla corretta ermeneutica e il permanere del dissenso sia sul fronte progressista che su quello tradizionalista.
L’11 ottobre 1962, alla cerimonia di apertura, c’era anche un giovane prelato, consacrato Vescovo di Vittorio Veneto dallo stesso Giovanni XXIII quattro anni prima. Era Albino Luciani, e sarebbe stato il primo Papa ad aver vissuto da vescovo il Concilio e ad averlo applicato nelle sue diocesi. È interessante innanzitutto notare (come ha fatto Marco Roncalli nella sua recente e corposa biografia su Luciani, edita da San Paolo) che cosa l’allora vescovo di Vittorio Veneto avesse auspicato nel testo inviato a Roma durante la fase preparatoria. Luciani, nel suo voto, auspicava che il futuro Concilio mettesse in luce l’«ottimismo cristiano» insito nell’insegnamento del Risorto, contro «il diffuso pessimismo» della cultura relativistica, denunciando una sostanziale ignoranza delle «cose elementari della fede».
Il futuro Papa non aveva manifestato particolare interesse per i temi «tecnici» relativi a nuovi modi di consultazione collegiali degli episcopati, e non aveva fatto alla questione biblica, ecumenica, ecclesiologica. Aveva posto invece a tema la necessità di tornare ad annunciare le «cose elementari della fede», notando già allora la crisi della trasmissione dei suoi contenuti, segno della secolarizzazione. Quanto all’interpretazione globale da dare al Concilio, monsignor Luciani si attesta su una linea che corrisponde pienamente a quell’ermeneutica della riforma nella continuità proposta da Benedetto XVI come la chiave interpretativa più corretta del Vaticano II.
«Alla Chiesa cattolica – scriveva il vescovo di Vittorio Veneto – la fisionomia e le strutture sono state fissate, una volta per sempre, dal Signore e non si possono toccare. Semmai, si possono toccare le sovrastrutture: ciò che non Cristo, ma i papi o i concili o i fedeli stessi hanno introdotto ieri, può essere tolto o mutato oggi o domani. Hanno introdotto ieri un certo numero di diocesi, un certo sistema nel dirigere le missioni, nel preparare 1 sacerdoti, hanno usato un certo tipo di cultura? Si può cambiare e si potrà dire: “La Chiesa che esce dal Concilio è ancora quella di ieri ma rinnovata”. Mai si potrà, invece, dire: “Abbiamo una Chiesa nuova, diversa da quella di ieri”» Ma è interessante anche notare il modo in cui Luciani visse il lungo processo che portò alla promulgazione della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa «Dignitatis humanae».
«La libertà religiosa, rettamente intesa, però – scriveva Luciani – perché non avessimo a capire a rovescio. Tutti siamo d’accordo che c’è una sola vera religione, e chi la conosce è obbligato a praticare quella e basta. Ma, detto questo, ci sono anche altre cose che sono giuste e bisogna dirle. Cioè, chi non è convinto dal cattolicesimo ha il diritto di professare la sua religione per più motivi. Il diritto naturale dice che ciascuno ha il diritto di cercare la verità. Ora guardate che la verità, specialmente religiosa, non si può cercarla chiudendosi in una stanza e leggendo qualche libro. La si cerca seriamente parlando con gli altri, consultandosi… Si dice per modo di dire i diritti della verità, ma ci sono solo persone fisiche o morali che non hanno diritto di cercare la verità. Quindi non abbiate paura di dare uno schiaffo alla verità quando date a una persona il diritto di usare della sua libertà» «La scelta della religione deve essere libera – spiegava ancora il vescovo di Vittorio Veneto – quanto più è libera e convinta, tanto più chi l’abbraccia se ne sente onorato. Questi sono i diritti, i diritti naturali.
Ora, non c’è un diritto al quale non corrisponda anche un dovere. I non cattolici hanno il diritto di professare la loro religione, e io ho il dovere di rispettare il loro diritto: io privato, io prete, io vescovo, io Stato». Concludeva Luciani: «Qualche vescovo si è spaventato: ma allora domani vengono i buddisti e fanno la loro propaganda a Roma, vengono a convertire l’Italia. Oppure ci sono quattromila musulmani a Roma: hanno diritto di costruirsi una moschea. Non c’è niente da dire: bisogna lasciarli fare. Se volete che i vostri figli non si facciano buddisti o non diventino musulmani, dovete fare meglio il catechismo, fare in modo che siano veramente convinti della loro religione cattolica». «Dovete fare meglio il catechismo», cioè annunciare nuovamente la fede cristiana senza dare nulla per scontato. Una prospettiva che Benedetto XVI ha ben presente e che ha indicato come prioritaria nell’Anno della Fede.
1 Comment
Purtroppo noi cristiani rischiamo di perdere credibilità se ci preoccupiamo di difendere la nostra fede piuttosto che testimoniarla .Troppo spesso affannati a difendere i nostri privilegi,delimitiamo gli spazi , barricandoci dietro le nostre trincee e priviamo di senso il nostro compito . Forse permane l’idea distorta che l’apertura abbracci il compromesso!!