Commento al vangelo della XXXI domenica del Tempo Ordinario – Anno B
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In un passato oramai non conosciuto da molti, si proiettava l’immagine di un Dio severo. Si parlava dell’inferno per suscitare la paura di sbagliare. Non vi era ancora la sensibilità di annunciare, per esempio, il sorriso di Dio, la passione di Dio per la vita e per le sue creature. Era un tempo in cui l’istruzione scarseggiava e si puntava sull’obbedienza e sulla paura dell’inferno per istruire le persone. Oggi corriamo il rischio opposto: aver sviluppato una concezione di libertà talmente sganciata da ogni responsabilità individuale che abbiamo deciso che Dio è buono, sempre e comunque, e che perdonerà i nostri peccati, qualunque essi siano, anche senza un nostro pentimento. Qual è, dunque, il vero volto di Dio? Ce lo dirà Gesù nel suo modo di porsi con uno scriba.
Un giorno uno scriba chiede a Gesù qual è il più grande comandamento. Non è un avversario di Gesù. Dalle parole del vangelo si evince che si trattava di una persona onesta, probabilmente un estimatore di Gesù. Alla sua domanda Gesù risponderà: il più grande comandamento è amare Dio al di sopra di ogni cosa che esista nel mondo, con tutte le energie a disposizione. E, a completamento, Gesù annuncia che amare il prossimo, come sé stessi, è da considerarsi un comandamento a tutti gli effetti. Sarà il comandamento dei cristiani. L’amore al prossimo dimostra che l’amore che proclamiamo con le parole per Dio è credibile. Non si può dire di aver fede e di amare Dio se non si è disposti ad amare il prossimo, ad accoglierlo, a perdonarlo, a lasciarsi perdonare da lui.
Parlando dell’amore al prossimo, Gesù rivela allo scriba il vero volto del Padre: né giudice né permissivista ma Padre giusto. E quale padre non educa i figli e non desidera che essi si amino tra loro. Lo scriba accoglie la risposta di Gesù e si sente sollevato. Sente che egli ha confermato il cuore dell’insegnamento che lui ha ricevuto fin da bambino. E Gesù lo incoraggia. Lo conferma. Gesù è la manifestazione del Padre che incoraggia ed è felice nel vedere i suoi figli che vogliono migliorare. Questa è l’immagine di Dio che Gesù trasmette. Come un padre che, insegnando al figlio a portare la bicicletta, davanti alla prima caduta, non mortificherà mai il figlio, ma lo incoraggerà e gli insegnerà a sorridere per le sue cadute.
Lo scriba ha un cuore aperto a imparare di più. E Gesù gioisce di questo. Dio gioisce e sorride dello sforzo che noi facciamo crescere, anche quando siamo seppelliti dai peccati. Dio non teme i nostri peccati ma si rattrista quando, insuperbiti dalla convinzione di non avere nulla da migliorare, i peccati li giustifichiamo. No, non bisogna pensare che Dio sia sempre deluso da noi solo perché sbagliamo e non siamo perfetti. Noi, intanto, sforziamoci di vivere il vangelo. Chi cammino secondo il vangelo non sbaglia mai. Non perché non commetterà peccato. Piuttosto perché il vangelo non può fallire nell’indicare la strada della salvezza. Se camminiamo secondo il vangelo vedremo che anche davanti alle nostre cadute Dio saprà sorridere e ci tenderà la mano per rialzarci.
Inoltre, amare Dio non sarebbe neanche un comandamento. Non si può amare a comando. Amare Dio è può essere solo la conseguenza, il risultato, dell’essere stati amati per primo da Dio. Un bambino cresciuto in una famiglia senza amore e assente o segnata dalla violenza, crescerà, molto probabilmente, come una vita spezzata e difficilmente saprà amare come una persona matura. Lo stesso vale per una famiglia troppo permissiva e lassista. Lo stesso vale nel rapporto con Dio. Noi non sapremmo neanche che esiste un Dio in cielo se lui non si fosse rivelato.
Noi possiamo amare Dio perché Lui si fa trovare lungo i sentieri della nostra vita e possiamo fare esperienza del suo amore. Noi lo possiamo amare non perché siamo bravi ma perché Lui ci ama per primi. E con questo dono, il dono di amare Dio, abbiamo in noi la grazia di cambiare il mondo e di generare una nuova fraternità.
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