“È difficile accettare la croce. Ma è l’unica nostra salvezza”.
Commento al vangelo della XXV domenica del Tempo Ordinario Anno B
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È difficile accettare la croce. Non siamo stati creati per la croce, non era nei piani di Dio. In noi c’è un anelito insopprimibile di felicità. Eppure, l’esperienza ci dice che la felicità è solo una collezione di attimi fugaci mentre, invece, la croce è con noi in pianta stabile.
Se da un lato possiamo supporre che una buona parte delle persone che portano avanti onestamente la fatica della vita sappia accontentarsi di quello che la vita dà e del posto che trova e non abbia grandi pretese, se non le giuste ambizioni ha cui ognuno ha diritto, allo stesso tempo, sono molti coloro ai quali piace quel primo posto, essere onorati e sempre bene in vista. In genere si tratta di persone che tendono a credere che brillino esclusivamente di luce propria. È vero che anche se e a tutti è data una luce di cui brillare, nessuno brilla solo di luce propria. Nessuno di noi, oggi, è quello che è perché si è fatto da solo. Nessuno di noi ha imparato a leggere e a scrivere senza che ci sia stato un maestro che ce l’abbia insegnato. Noi possiamo, sì, brillare di una luce, anche intensa, ma solo se riconosciamo, con umiltà, che la sorgente di quella luce è in Dio e solo lo produciamo, con la stessa umiltà, le opere della fede.
Gesù, nel vangelo di oggi, ha appena annunciato agli apostoli, per la prima volta, che il suo destino a Gerusalemme sarà la morte. Sarà ucciso ma alla fine risorgerà. Queste due parole, “morte” e “risurrezione” sono talmente fuori da ogni loro comprensione – loro che ancora credevano che Gesù dovesse andare a Gerusalemme per fare la rivoluzione militare e politica – tanto da restare concentrati sui loro piccoli discorsi e sui loro progetti di grandezza umana. Stanno facendo a gara per capire chi di loro sia la persona più importante, quella che brilla della luce più intensa, quella davanti alla quale gli altri si dovranno inchinare in segno di riverenza e sottomissione, una volta che Gesù avrà stabilito la sua autorità su tutto Israele. Stanno lottando per le poltrone del nuovo regno, così come se lo sono immaginati. Ma sbagliano.
Gesù li sente parlare e fa l’esempio dei bambini. Bisogna diventare come loro, perché il loro cuore è ancora innocente.
Ed è proprio l’innocenza della vita che bisogna recuperare come tratto caratteristico del cristiano. Non come uno che non sbaglia mai. Ma neanche come chi vive in uno stato di permanente malizia e crede di poter fare a meno di tutti, tranne che di Dio. La malizia è fonte di quel male interiore di cui parla San Giacomo nella seconda lettura di oggi: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni …? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni“.
L’innocenza della vita non è assenza di sbagli. È una attitudine interiore di servizio per concorrere al bene proprio, altrui e della società.
La croce è è lo strumento che ci è dato per darci una struttura solida di vita interiore, necessaria per ritrovare quella innocenza. La croce insegna ad amare come Cristo. E ci fa brillare della luce stessa di Dio. E’ difficile accettare la croce, ma è l’unico strumento della nostra salvezza.
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