di Fabio Gambaro, Il Venerdì, 16/03/2012
Come sopravvivere alla crisi economica, ecologica, politica e sociale del pianeta?
Serve una metamorfosi dell’umanità simile a quelle che ci traghettarono fuori dalla Preistoria e dal Medioevo.
Parigi. “Ciò che si profila come probabile – vale dire la crisi ecologica, economica, politica e sociale del mondo in cui viviamo – mi spinge a essere pessimista. L’improbabile è però sempre possibile. Quindi resto ottimista e continuo a credere che si debba e si possa trovare una strada per evitare di finire nel baratro”. A novantuno anni, Edgar Morin non si stanca d’immaginare un mondo migliore e le modalità per realizzarlo, motivo per cui nel suo ultimo saggio, La via (Raffaello Cortina), condensando oltre mezzo secolo di ricerche e riflessioni, propone le sue soluzioni “per l’avvenire dell’umanità” e una trasformazione globale della società. Progetto vasto e ambizioso, ma al contempo concreto e praticabile, in cui il filosofo e sociologo francese specialista della complessità indica la via da seguire per realizzare quella “metamorfosi” che, sfuggendo a ogni facile manicheismo e ad ogni alternativa binaria, sola ci consentirebbe di sfuggire al disastro planetario annunciato.
“Di fronte a un realtà stravolta da un’economia senza regole che distrugge il Pianeta e la società, non basta più indignarsi” dice lo studioso autore di numerosi saggi, tra cui i sei volumi del Metodo, Terra-Patria e I sette saperi necessari all’educazione del futuro. “Occorre provare a tracciare un percorso al contempo utopico e realistico per invertire la tendenza. Non solo il cambiamento è possibile, ma è di fatto già iniziato grazie a numerose piccole iniziative locali. Iniziative che è necessario federare per creare una massa critica irreversibile. All’origine dei grandi cambiamenti ci sono sempre delle singole azioni. Quello che occorre è la coscienza della crisi e la volontà politica del cambiamento. Se c’è tale volontà, allora si trovano i mezzi necessari per evitare la catastrofe”.
Nel libro lei critica l’idea di sviluppo. Perché?
“La mondializzazione porta in sé l’occidentalizzazione e il mito dello sviluppo fondato sull’idea di una crescita infinita. È un mito che ci porta dritti contro un muro. Non possiamo continuare a riempire il Pianeta di automobili, di centrali e di megalopoli. Questo modello di sviluppo – figlio di un liberalismo economico senza regole, tutto teso a produrre e a consumare sempre di più – comporta conseguenze disastrose per la biosfera e le risorse naturali. Oggi, si parla molto di sviluppo sostenibile, che però mi sembra solo una mezza misura. In realtà, occorre affrontare e spaccare il nocciolo duro, tecno-economico, del concetto tradizionale di sviluppo, per salvarne solo alcuni elementi da mettere al servizio di un altro modello di sviluppo umano. È un problema urgente che riguarda tutti”.
È per questa ragione che parla di Terra-patria?
“L’aspetto positivo della mondializzazione è che ormai c’è una comunità di destino di tutti gli esseri umani, ovunque essi si trovino. Siamo tutti di fronte agli stessi problemi fondamentali e alle stesse minacce mortali, sul piano ecologico, climatico, sociale, nucleare, ecc. Una patria è una comunità di destini, quindi la Terra è la patria comune che dobbiamo cercare di salvare in una situazione dove sembra non esserci più futuro e quindi prevalgono l’incertezza, la paura e le logiche regressive. In passato si pensava che la storia fosse guidata dalla legge del progresso. Le crisi del XX secolo hanno spazzato questa illusione”.
Che cosa fare allora?
“Al sistema terrestre minacciato da tutte le parti resta solo la via della metamorfosi. In natura, un sistema, quando non riesce più a risolvere i propri problemi vitali, se non vuole perire, è costretto alla metamorfosi. Il bruco è capace di autodistruggersi e autoricostruirsi per diventare una farfalla. L’idea della metamorfosi non è una follia, è una realtà che si è già realizzata altre volte nella storia del Pianeta, nella preistoria ma anche nel Medioevo”.
La metamorfosi è però un’operazione complessa e delicata…
“Per salvarsi occorre avere un approccio dialettico, nel tentativo di tenere insieme idee che sulla carta si oppongono. Non credo alla rivoluzione che fa tabula rasa del passato, producendo spesso realtà peggiori di quelle che ha voluto trasformare. Al contrario, abbiamo bisogno di tutte le riforme culturali della storia dell’umanità per trasformare e trasformarci. Per questo è necessario conservare tutti gli aspetti positivi della mondializzazione, che per me contiene il meglio e il peggio. Insomma, occorre al contempo mondializzare e de-mondializzare a seconda degli ambiti, favorire la crescita ma talvolta la decrescita, tenere conto dello sviluppo ma anche dell’inviluppo, della trasformazione come della conservazione. Questa strategia complessa ci consente di conservare la speranza, che naturalmente non è una certezza. Anzi, visto il contesto, la speranza è perfino improbabile. La storia però ci insegna che a volte l’improbabile è riuscito a prendere il sopravvento”.
La scienza ha un compito privilegiato in questo processo?
“Anche la scienza è ambivalente, dato che porta in sé minacce e speranze. La scienza moderna si è sviluppata nel XVII e XVIII secolo, liberandosi da ogni controllo morale e politico. Si è così garantita libertà di ricerca e autonomia. C’è stato un periodo in cui la scienza, la tecnica, la ragione, la giustizia, la democrazia e l’uguaglianza avanzavano assieme. Oggi non è più così. La scienza si sviluppa a una velocità senza precedenti, che non lascia il tempo alla società di elaborare un pensiero capace di accompagnarla. La scienza si occupa dei fatti e non dei valori, ma il suo potere sulle nostre vite è diventato enorme, senza dimenticare che spesso essa è pesantemente condizionata dalla ricerca del profitto a ogni costo. È dunque necessario reintrodurre una riflessione etica che ne regoli gli eccessi”.
Nel libro lei propone diverse riforme concrete. Con quali priorità?
“Tutte le riforme devono cominciare contemporaneamente, perché sono tutte collegate tra loro. Le riforme della scienza, della conoscenza e dell’educazione sono però prioritarie perché fondamentali. In ambito scientifico, ma non solo, abbiamo bisogno di un approccio interdisciplinare, per non perdere di vista la visione d’insieme. Quando le conoscenze sono troppo specialistiche, frammentarie e prive di collegamenti si rischia di produrre una nuovo tipo di accecamento. Ma naturalmente, per salvare l’umanità, occorre lanciare al contempo anche le altre riforme, quelle che riguardano la società e il nostro modo di vivere, la nostra relazione con le risorse e la biodiversità, come pure il nostro modo di produrre e consumare, di costruire le città e di spostarci. Ci sono solo due modi per uscire da una crisi. La regressione che torna al passato oppure la creatività che, con un grande sforzo d’immaginazione, inventa soluzioni inedite. Io ho scelto da tempo questa seconda possibilità”.
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