Commento al vangelo della XXXII Domenica del Tempo Ordinario
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I vangeli narrano di numerosi confronti fra Gesù e la classe dirigente del tempo, che riassumeva funzioni sia politiche e religiose. Non tutti gli uomini di potere erano compromessi. Nella letteratura ebraica vi sono testimonianze di figure molto belle di rabbini, di scribi e farisei.
Gesù concentra la sua attenzione su una situazione generale di degrado e di allontanamento dallo spirito autentico della legge. Queste crisi avvengono in ogni epoca e ovunque si eserciti una qualche forma di autorità. La denuncia è rivolta alle persone che hanno fatto della loro autorità un trampolino di lancio per salire sempre più in alto la scala del potere.
Sganciandosi dalla realtà e dalle necessità reali del popolo, queste persone hanno finito per cadere in adorazione di sé stessi e del loro stesso potere e a pretendere che la gente facesse altrettanto. A pagarne le conseguenze sono sempre i poveri. Gesù dirà che persone del genere “divorano le case delle vedove e fanno tutto col solo scopo di essere ammirati”.
Eppure, ciò che fanno, lo fanno anche in nome di Dio. Gesù, per dare un esempio di umile fedeltà, metterà in evidenza il gesto di una donna, vedova e povera, che offre al tesoro del tempio una moneta, che per lei vale il pane sulla tavola e non è solo il superfluo del superfluo.
L’invito non è quello di disprezzare il potere o la ricchezza in quanto tali. L’ingresso nel Regno dei cieli non è esclusivo di coloro che non posseggono nulla. È di coloro che fanno di Dio il centro della propria esistenza, che vivono di lui, sperano in lui, usano dei loro beni con saggezza e con spirito di giustizia. Questa è la vera povertà che santifica. È un atteggiamento interiore.
La forza della Chiesa è sempre l’unità di quelle grandi virtù: la fede, la speranza e l’amore. Solo chi ama dà. E dà proprio perché ama e si sente responsabile anche del bene degli altri.
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