Nella Bibbia sete e aridità hanno un rimedio sicuro. (G. Ravasi)

 

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Materialità e simbologia biblica dell’acqua 

di GIANFRANCO RAVASI – ©L’Osservatore Romano 2 settembre 2011

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È questa la stagione nella quale riusciamo a comprendere in pienezza il valore di quella tetrade aggettivale che san Francesco ha dedicato nel suo Cantico a “sor’acqua”: “utile et humile et pretiosa et casta”. Tanti sono i profili che questa realtà presenta, soprattutto a livello sociale, come vediamo ininterrottamente nelle “lotte per l’acqua”, nelle tragedie legate alla siccità, nelle stesse politiche: si pensi, per stare vicino a noi, anche alla recente vicenda del referendum che l’aveva proprio per tema.

Si tratta, infatti, di una realtà veramente “utile et pretiosa”, principio della nostra composizione organica e della stessa sopravvivenza. Noi ora ci accontenteremo di lasciare spazio alla Bibbia che ci parlerà non solo della “materialità” dell’acqua ma anche e soprattutto della sua “simbolicità”. … Un panorama assolato, una steppa arida, un’oasi verdeggiante incastonata in una valle, una pista che si dipana negli spazi solitari, qualche raro albero e cespuglio: può sembrare uno stereotipo paesaggistico orientale, ma è effettivamente questo l’habitat prevalente dell’uomo della Bibbia ed è così che l’acqua costituisce, ieri e oggi, il cardine dei desideri e delle contese, l’archetipo dei simboli e delle idee del nomade e del sedentario.

La parola majim, “acqua”, risuona oltre 580 volte nell’Antico Testamento, come l’equivalente greco hydor ritorna un’ottantina di volte nel Nuovo (metà di queste occorrenze sono nel solo Vangelo di Giovanni); circa 1.500 versetti dell’Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento sono “intrisi” d’acqua, perché oltre ai vocaboli citati c’è una vera e propria costellazione di realtà che ruotano attorno a questo elemento così prezioso, a partire dal pericoloso jam, il “mare”, o dal più domestico Giordano, passando attraverso le piogge (con nomi ebraici diversi, se autunnali, invernali o primaverili), le sorgenti, i fiumi, i torrenti, i canali, i pozzi, le cisterne, i serbatoi celesti, il diluvio, l’oceano e così via. Per non parlare poi dei verbi legati all’acqua come bere, abbeverare, aver sete, dissetare, versare, immergere (il “battezzare” nel greco neotestamentario), lavare, purificare…. Un filo d’acqua scorre idealmente attraverso le pagine delle Sacre Scritture, testimoniando una sete ancestrale, legata a coordinate geografiche ed ecologiche segnate dall’aridità.

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Non per nulla la Bibbia si apre con la creazione della luce e dell’acqua (Genesi, 1, 3-10) e con le piogge e la canalizzazione delle sorgenti (Genesi, 2, 4-6) e si chiude con “unfiume d’acqua viva limpida come cristallo che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello” (Apocalisse, 22, 1). E in mezzo c’è sempre l’ansiosa ricerca dell’acqua e la sete. Basti solo pensare a Israele nel deserto e al suo grido: “Dateci acqua da bere!” (Esodo, 17, 2), o alla siccità vista come una maledizione celeste pronunziata dal profeta in nome di Dio: “Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto – minaccia Elia – non ci sarà né rugiada né pioggia se non quando lo dirò io” (1 Re, 17, 1).

Geremia ci ha lasciato uno dei più vivaci e drammatici ritratti di questa piaga endemica del Vicino Oriente: “I ricchi mandano i loro servi in cerca d’acqua; essi si recano ai pozzi ma non la trovano e tornano coi recipienti vuoti. Sono delusi e confusi e si coprono il capo. Per il terreno screpolato, perché non cade pioggia nel paese, gli agricoltori sono delusi e confusi. La cerva partorisce nei campi e abbandona il parto perché non c’è erba. Gli onagri si fermano sulle alture e aspirano l’aria come sciacalli; i loro occhi languiscono perché non si trovano erbaggi” (14, 3-6)…. È per questo che, quando s’affacciano le nubi e cade la pioggia, si è convinti di ricevere una benedizione divina, come si legge nel Deuteronomio: “Il Signore apre per te il suo benefico tesoro, il cielo, per dare alla tua terra la pioggia a suo tempo e per benedire tutto il lavoro delle tue mani” (28, 12).

Tuttavia il Creatore, che è Padre di tutti, si preoccupa di ogni sua creatura prescindendo dal merito, come dirà Gesù: “Il Padre vostro celeste fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Matteo, 5, 45). E quando arriva la primavera con le sue piogge, il Salmista – in un dipinto poetico di straordinaria fragranza (65, 10-14) – immagina che il Signore passi col suo carro delle acque “dissetando la terra, gonfiando i fiumi, irrigando i solchi, amalgamando le zolle, bagnando il terreno con la pioggia: al suo passaggio stilla l’abbondanza, stillano i pascoli del deserto (…) e tutto canta e grida di gioia”.

L’uomo dà il suo contributo con le canalizzazioni e la tecnica idraulica: basti solo visitare nella fortezza di Meghiddo in Galilea l’imponente acquedotto o seguire la galleria (di 540 metri) scavata nell’VIII secolo prima dell’era cristiana, dal re Ezechia per portare l’acqua dalla sorgente di Ghicon fino alla riserva di Siloe a Gerusalemme (una lapide, conservata ora al museo archeologico di Istanbul evoca il momento emozionante della caduta dell’ultimo diaframma e dell’incontro delle due squadre di operai che da lati opposti avevano condotto lo scavo)…. Proprio perché è al centro della esistenza fisica, l’acqua diventa un simbolo dei valori assoluti, della vita anche nella sua dimensione spirituale, della stessa trascendenza.

Melville in quel particolare “romanzo d’acqua” che è Moby Dick scriveva: “Perché gli antichi Persiani consideravano sacro il mare? Perché i Greci gli assegnarono un dio a sé, fratello di Giove? Certo tutto questo non è senza significato. E ancora più profondo è il senso della favola di Narciso che, non potendo afferrare la tormentosa, dolce immagine che vedeva nella fonte, vi si immerse e annegò. Ma quella stessa immagine anche noi la vediamo in tutti i fiumi e oceani. È l’immagine dell’inafferrabile fantasma della vita, e questa è la chiave di tutto”. La stessa chiave è, dunque, adottata anche nella Bibbia e secondo uno spettro molto variegato di significati, non solo positivi. Pensiamo solo al segno del diluvio come atto giudiziario divino compiuto attraverso l’acqua e allo stesso esodo nel mar Rosso che si chiude come un sepolcro di morte sugli Egiziani oppressori o al citato jam, il “mare”, che meriterebbe una trattazione a sé stante, essendo per Israele il simbolo del caos, del nulla e persino del male: per questo Cristo cammina sulle onde e fa piombare i porci, animali impuri, nel mare e riesce a sostenere su quelle acque anche il discepolo impaurito, Pietro (Matteo, 14, 24-31)….

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L’acqua è, però, prima di tutto e sopra tutto segno di vita e di trascendenza. Noi ora ci accontenteremo di mettere quasi in fila, in una sorta di elenco, alcuni dei tanti valori metaforici che le acque acquistano: esse, infatti, nella Bibbia non sono mai dolcemente contemplate come “chiare fresche dolci acque” alla maniera petrarchesca, ma sono celebrate come rimandi a realtà nascoste più alte. Così, l’acqua è per eccellenza simbolo di Dio, sorgente di vita. Basti solo evocare l’indimenticabile comparazione geremiana: “Essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non tengono l’acqua” (2, 13). L’acqua è segno della Parola divina senza la quale si soffoca e si è aridi: “Verranno giorni – dice il Signore – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane né sete d’acqua, ma di ascoltare la parola del Signore… Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca” (Amos, 8, 11 e Isaia, 55, 10-11)….

L’acqua è simbolo della sapienza divina effusa in Israele: “Essa trabocca come il Tigri nella stagione dei frutti nuovi, fa dilagare l’intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura, espande la dottrina come il Nilo, come il Ghicon nei giorni della vendemmia (…) Io sono come un canale derivante da un fiume e come un corso d’acqua sono uscita verso un giardino. Ho detto: Innaffierò il mio giardino e irrigherò la mia aiuola! Ed ecco il mio canale è divenuto un fiume e il mio fiume un mare” (Siracide, 24, 23-25.28-29).

L’acqua annunzia l’era messianica e la rinascita dell’umanità: “Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa; la terra bruciata diventerà una palude e il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua” (Isaia, 35, 6-7). Anzi, l’acqua diventa l’emblema di Cristo, come si intuisce nel celebre dialogo con la Samaritana: “Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Giovanni, 4, 14). È per questo che l’evangelista testimonia con insistenza che dal costato del Cristo crocifisso “uscì sangue e acqua” (19, 34). E come si intuisce nelle parole destinate alla donna di Samaria, l’acqua diventa anche il segno della vita nuova del credente nel quale è effuso lo Spirito di Dio. Gesù, durante la festa ebraica delle Capanne (che comprendeva proprio un rituale con l’acqua di Siloe), aveva esclamato: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Giovanni, 7, 7-39).

L’acqua, allora, è immagine della vita nuova del fedele che con essa si purifica il cuore del male (“Lavami da tutte le mie colpe”, Salmi, 51, 4), secondo quel rito lustrale che è presente in quasi tutte le culture religiose. Essa rappresenta, così, anche la rigenerazione interiore, destinata a dare frutti di giustizia: “Il giusto sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua; darà frutti a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai” (Salmi, 1, 3).

Ma l’acqua rimane soprattutto il simbolo supremo di quel Dio di cui l’uomo ha sempre sete ed è questa la costante preghiera di tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia (letteralmente “la mia gola”) ha sete di Dio, del Dio vivente (…) O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua…” (Salmi, 42, 2-3; 63, 2).

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