La professione di fede che può toccare i cuori di coloro che non credono

“Dire quelle tre parole potenti: “Sì, io credo”, come fece Pietro, è un dono dello Spirito di Dio. Nessuno può dire che Gesù è il Signore se non è lo Spirito a dirlo in lui. Ma una volta che questa professione emerge in superficie, scopriamo non solo che noi apparteniamo a Dio. Scopriamo anche che il mondo ci appartiene ed è posto sotto la nostra cura”.

Commento al vangelo della XXIV domenica del Tempo Ordinario – Anno B

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Noi professiamo la nostra fede in Gesù Cristo, figlio di Dio, Verbo di Dio che era presso Dio ed era Dio fin dal principio, fatto uomo, vero uomo, nel grembo di una donna, morto in croce per il nostro per i nostri peccati e per la nostra salvezza, risorto e asceso al cielo e assiso alla destra del Padre, dove regna in eterno mentre assiste la sua Chiesa con il dono dello Spirito Santo che è Dio.

Togliere una sola virgola a questa professione significa porci fuori dalla fede della Chiesa. Significa uscire dalla Chiesa. Significa non essere cristiani.

San Paolo afferma: “Nessuno può dire: «Gesù è Signore!, se non sotto l’azione dello Spirito Santo.”. Cosa significa “sotto l’azione dello Spirito”? Significa che per quanto Gesù sia, per noi che lo crediamo, la realtà più vera e concreta che esista, nonostante non ne facciamo esperienza fisica (vederlo, toccarlo), per arrivare a professare la fede in lui, per “sentirlo” vivo, presente ed operante in mezzo a noi, dentro le nostre vite, è necessario porsi sotto l’ispirazione dello Spirito. È talmente impossibile per noi credere senza l’assistenza divina, con la sola ragione, che San Paolo dice, addirittura, che quella professione è lo Spirito stesso a pronunciarla dentro di noi. Noi, solo sotto ispirazione dello Spirito possiamo fare, ottenendone i frutti spirituali, questa professione. E Quando siamo arrivati a farla, la professione si trasforma in adorazione. Noi adoriamo il Figlio e per mezzo del Figlio, adoriamo il Padre e lo Spirito Santo.

La nostra società non è più cristiana. Molti battezzati non hanno creduto perché nessuno li ha aiutati a predisporsi all’incontro personale con Gesù. Molti hanno abbandonato una fede che non era stata mai solida in partenza. Molti sono irritati e reagiscono male solo a sentire il nome di Gesù. Altri si allontanano scandalizzati dall’incoerenza tra fede e vita da parte di credenti. Poi la cultura dominante e la forza dei mezzi di comunicazione di massa fanno la loro parte per far apparire la Chiesa un’associazione a delinquere.

Quando Gesù chiede agli apostoli chi essi credono che egli sia, si trovano a Cesarea, la città più lontana sia da Gerusalemme che dalla Galilea. A volte Dio ci conduce nei luoghi più lontani dal nostro “centro” e dalle nostre sicurezze, nel cuore del nulla che regna nei nostri cuori. Lì ci rivolge la stessa domanda che fece agli apostoli.

Voi, miei discepoli del 21° secolo, chi dite che io sia?”. Non si tratta, per chi crede, di ribadire, a parole, che si crede in Dio. Si tratta di fare un profondo esame di coscienza e verificare se Gesù sia davvero il centro e la luce ispiratrice della nostra esistenza. Se la sua parola sia il faro che guida la nostra navigazione nei mari agitati della vita. Dire quelle parole potenti: “Sì, io credoTu sei il Cristo”, come fece Pietro, è un dono dello Spirito di Dio. Una volta che questa professione emerge in superficie, sgorga naturale la lode a Dio, il desiderio della fraternità e della pace, l’esercizio della carità, tutti gesti che diventano testimonianza e annuncio per un mondo che potrà interessarsi di noi solo se vedrà la coerenza della vita.

Quando ognuno prende la propria croce e si mette dietro a Gesù, quando ci aiutiamo gli uni gli altri a portare la croce, quando il mondo vede che noi portiamo la croce senza piangere sui nostri guai ma nella gioia di essere stati chiamati a essere suoi discepoli, si ricompone la frattura dell’incoerenza che separa la professione di fede dalla vita. La croce diventa lo strumento che ricompone quella frattura, lo strumento che permette di produrre, come dice San Giacomo nella sua lettera, le opere della fede, senza delle quali la sola professione, ma vuota di testimonianza, non può salvare. Scopriamo, così, che il mondo ci appartiene ed è posto sotto la nostra cura. Ed è con la croce che ci prendiamo cura del mondo.

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