Nessuno è profeta in patria. Ma il vero “problema” è il vangelo

Il problema non è, dunque, colui che annuncia il vangelo, che resta un peccatore come tutti. È la Parola che egli annuncia. Gli uomini preferiscono il pifferaio che intrattiene e diverte al richiamo esigente del vangelo che chiede di cambiare vita

Commento al vangelo della XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

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Nessun profeta è accolto nella sua patria. Anzi, proprio nella sua patria il profeta è disprezzato, tra i suoi familiari e vicini”.

Ma perché? Cosa vuol dirci Gesù? Gesù non parla di “diffidenza” nei confronti del profeta ma di aperto disprezzo. Cos’è questo disprezzo e perché proprio “disprezzo” e non semplice “antipatia”?

Nella Chiesa delle origini non tutti gli apostoli e predicatori del vangelo godevano dello stesso indice di gradimento. In quel caso, però, si trattava di rivalità interne alla comunità. A Corinto si era creata una divisione tale che ognuno si aveva il proprio apostolo di riferimento: chi Paolo, chi Pietro, chi altri loro collaboratori, come per es. Apollo. Chi si era legato a uno piuttosto che a un altro, finiva per non accogliere la parola e la persona degli altri apostoli.

E questo ci porta alla domanda: Chi è il profeta? Chi è colui che annuncia il vangelo? È un peccatore, bisognoso della misericordia di Dio e della compassione dei suoi fratelli e sorelle di fede quanto tutti gli altri. Ma è anche colui che ha ricevuto il dono dello sguardo profondo di Dio sulle cose e che, portato dallo Spirito di Dio, indica con la sua parola e la sua vita la direzione della conversione e del ritorno a Dio. Quindi il profeta non è solo un annunciatore della Parola, ma in qualche modo, nonostante i suoi limiti umani, ne è una incarnazione. Lo Spirito, tuttavia, dà al vangelo un potere in sé stesso. che può essere predicato anche da un pastore indegno, ma se predicato secondo la fede della Chiesa, ha potere di salvezza in sé stesso e non per la simpatia o antipatia suscitata da chi lo annuncia.

Ora, gli ebrei rifiutano Gesù e la sua predicazione. Lo disprezzano e non riconoscono la sua autorità. Perché? Perché gli ebrei avrebbero voluto un messia politico e i cristiani di oggi vorremmo un vangelo che sia un libriccino di pie consolazioni. Il vangelo, sì, assolutamente, è consolazione, gioia, liberazione, vita, luce nella notte. Ma è anche conversione, ravvedimento, croce, sangue, lacrime, passione. Senza la Croce non vi è vangelo. E senza vangelo non vi è Gesù Cristo.

Noi siamo umani. Del vangelo e di Gesù Cristo vorremmo la parte della consolazione ma non quella della croce. E molti possono arrivare perfino a disprezzare la parola annunciata – e chi lo annuncia – se questi non la annuncia secondo i propri desideri.

Il problema, quindi, almeno in questo caso, non è la persona di colui che annuncia il vangelo, che resta un peccatore come tutti. Il problema è proprio la parola che egli annuncia. Noi vorremmo un cristianesimo a buon mercato, proprio mentre la violenza del male che imperversa attorno a noi chiede una testimonianza più vigorosa, più forte, più vera, più credibile. E noi non sempre siamo disposti a fare questo salto. Può capitare perfino di arrivare a disprezzare l’evangelizzatore che, in piena fedeltà al suo ministero, annuncia il vangelo nella sua interezza, proprio perché la croce fa male.

Il Signore ci conceda: il dono di un amore incondizionato al vangelo nella sua forma più pura; un amore incondizionato al mondo, al quale il vangelo è destinato; e lo stesso amore condizionato alla Chiesa e ai suoi pastori.

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