Ritrovare la via dell’amicizia e della compassione sociale

La Giornata annuale per la Vita indetta dalla Chiesa italiana (quest’anno – 2022 – il tema è “Custodire ogni vita”), pone l’accento in particolar modo sulla difesa della vita nascente e di quella giunta al suo tramonto. Non è solo la chiesa Cattolica a tenere questa posizione.

In una società caratterizzata dal pluralismo di pensiero è normale che ognuno abbia una propria opinione a riguardo. Bisogna chiedersi, però, se “normale” sia sempre e comunque sinonimo di “morale”. Ma questa è una domanda per un’altra riflessione.

In questo pensiero non voglio fermarmi sui temi della vita nascente o di quella anziana, malata o morente. Vorrei fare una riflessione dallo sguardo più ampio.

Penso all’Italia come una delle nazioni al mondo con il triste primato di una gravissima crisi demografica. Non entro in merito alle motivazioni. Penso solo al fenomeno in sé e alle sue conseguenze.

Ci troveremo fra qualche decennio in una nazione dove ogni giovane che lavora dovrà, con le sue tasse, contribuire alla pensione o all’assistenza di due o tre anziani. Sarà inevitabile un collasso dell’intero sistema Italia. Con questo trend l’unica salvezza potrà venire dalla forza lavoro dell’immigrazione regolare e regolata.

Credo (prendetela come opinione personale, anche se non accampata in aria) che a fondamento della crisi generale che la nostra società Italiana sta soffrendo vi sia l’incontro altamente infettivo fra queste due idee:

1) l’individuo e il suo benessere come misura di tutte le cose.

2) una concezione di libertà che non ha più niente a che fare col sangue con la quale essa è stata duramente conquistata, oggi intesa prevalentemente come sinonimo di “sono libero di fare ciò che voglio, quando voglio, nel modo in cui lo voglio, non sono legato ad alcun dovere di tenere in considerazione le conseguenze delle mie azioni e nessuno ha il diritto di porre limiti alla mia libertà. Anzi, aggredisco chi ci prova”

Conseguenza di quanto detto:

1) la scomparsa della compassione e perfino del buon senso dalle relazioni umane e dal tessuto sociale.

2) la crescita esponenziale delle solitudini in tutte le forme possibili, soprattutto nelle città (ma ormai ovunque).

Quando muoiono la compassione, l’accoglienza e l’inclusione, muore la società. E se muore la società è perché le persone che la costituiscono sono individui interiormente morenti.

Possiamo fare tutte le battaglie civili e dibattiti parlamentari sulla vita umana nascente o sul trattamento di fine vita (le battaglie, i dibattiti e perfino gli scontri sono ancora a segno di una certa vitalità) ma se la società non ritrova una strada verso la riscoperta della compassione e della percezione che siamo tutti legati, nel nostro destino, gli uni agli altri, ogni dibattito scadrà nel più disumano degli scontri. E ognuno si sarà trasformato in nemico dell’altro.

Nasce, così, l’anti-società fondata sull’aggressione. Due tra i tanti “ingredienti” che alimentano l’aggressione sociale sono:

1) l’abolizione della verità e della comune ricerca di essa e la sua sostituzione con un’adesione cieca e di pura convenienza al pensiero del più forte, per il solo fatto che il più forte potrebbe, forse, essere una risorsa per le mie necessità. In questo modo, bene e male non esistono più. Esistono solo pezzi volanti e schegge di versioni sovrapposte sui fatti in questione. Ha ragione chi grida più forte, chi promette di più o chi intimidisce di più.

2) La moltiplicazione e il pullulare di opinion maker e influencer che, senza alcuna conoscenza del mondo reale e della sua complessità, si esprimono su tutto, in modo sconnesso e scoordinato, al solo scopo di guadagnare consensi e dopo aver convinto sé stessi che ogni loro parola è verità assoluta (vi capita di fare caso alle esternazioni di Fedez o di aver visto una puntata dei Ferragnez?). A parte il caso di Chiara Ferragni e Fedez, è universalmente riconosciuto che sul mondo dei social sono molti quelli che sentenziano su tutto credendo di avere un cassetto della propria scrivania (ma ce l’hanno una scrivania?) pieno di lauree immaginarie. Ricordate le parole di Umberto Eco?

Tornando all’argomento, a necessitare oggi di una difesa strenua non è l’individuo o la sua libertà assoluta ma un’idea di convivenza umana basata sui principi di comunità, di solidarietà e di compassione e su una ricerca condivisa di una verità nessuno può dire di possedere.

Per quanto riguarda proprio la ricerca della verità, il pensiero unico non è la via. A questa è ricerca devono essere i benvenuti tutti: da qualunque idea politica o religiosa o concezione della vita provengano. L’essere ateo rispetto all’essere credente, nella ricerca della verità e di una società migliore non è un male. È l’incontro tra due diversità che possono costruire qualcosa di buono se sono sinceramente animate da un comune desiderio di bene.

Resta la domanda: se una nazione ha paura della vita perché alla radice è più preoccupata dello spettro della povertà che del valore della vita stessa, quali speranze abbiamo di invertire la rotta nell’arco di qualche generazione e rimettere in piedi una nazione che ha dato al mondo secoli di civiltà?

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