Una madre di speranza e di coraggio
Considerate rifiuti di nessun valore, pronte per essere gettate nella spazzatura, quelle linguette ricavate da lattine e tenute insieme da un filo sottile erano diventate delle graziose borsette che offrivano una possibilità di vita nuova alle ragazze che le avevano realizzate. Ma quelle linguette, insignificanti e gettate via, assomigliavano in qualche modo proprio a quelle ragazze.
Un tempo giovani e belle, erano state rapite, violentate, usate, ridotte a schiave. O costrette a commettere atti terribili. E ora considerate come spazzatura. Sopravvissute per miracolo – e spesso incinte o madri giovanissime – venivano rifiutate anche dalle loro stesse famiglie. Vittime innocenti trattate come scarti di una storia crudele.
Siamo nel Nord Uganda, terra insanguinata per lunghi anni da un conflitto che ha provocato oltre trentamila morti, due milioni di profughi e sfollati e circa centomila minori rapiti e reclutati a forza. Un conflitto fatto soprattutto sulla pelle dei bambini. Era tra i più piccoli, infatti, che il terribile Lord’s Resistance Army (“Esercito di resistenza del Signore”, Lra), la sanguinaria milizia di Joseph Kony, reclutava i propri effettivi, drogati e indottrinati, costretti a commettere i peggiori crimini o, nel caso delle bambine, ridotte a schiave: sessuali e non solo.
Ma è sempre in questa terra martirizzata e violentata che sono maturati anche segni e iniziative straordinari di resistenza, riscatto e speranza. Uno dei più significativi è rappresentato da suor Rosemary Nyirumbe, religiosa delle Suore del Sacro Cuore di Gesù, che ha strappato oltre duemila ragazze ai miliziani del Lra, restituendo loro libertà e dignità.
Un lavoro lungo e difficile, che le è valso nel 2007 il riconoscimento di “eroe dell’anno” da parte della Cnn. E, nel 2014, il settimanale Usa Time l’ha inserita tra le “100 persone più influenti al mondo”. Istruzione e lavoro sono al centro dell’opera di questa straordinaria donna che, a quindici anni, decide di diventare religiosa per dedicarsi ai poveri. Il noto medico missionario Giuseppe Ambrosoli la vuole come prima assistente ostetrica in sala parto nell’ospedale di Kalongo. In seguito suor Rosemary si laurea e prende un master in Etica dello sviluppo.
Nel 2001, decide di dedicarsi specialmente alle ragazze vittime del Lra e prende la guida della St. Monica Girls Tailoring School di Gulu. «Fuori dalla nostra scuola – racconta – ci sono ancora molte ragazze afflitte da un grande dolore. Noi saremo sempre qui per loro, per aiutarle a rialzarsi e a ricostruire la loro dignità con amore, affetto e accettazione. Abbiamo così tante donne e così tanti bambini di cui prenderci cura. Non c’è tempo da perdere».
Suor Rosemary si mette al lavoro e non smette più. Ascolta i racconti agghiaccianti di moltissime ragazze rapite quando erano ancora delle bambine, usate come oggetti sessuali dai miliziani, brutalizzate per farle diventare a loro volta capaci delle peggiori efferatezze. La maggior parte, però, non racconta. Vuole solo dimenticare. Ma tutta quella violenza è qualcosa che rimane dentro.
C’è voluto più di un anno a Sharon per trovare il coraggio di parlare. E di chiedere perdono. «Perché avresti bisogno del mio perdono?», la ha chiesto suor Rosemary. «Perché mi hanno fatto uccidere mia sorella». Quello di Sharon non è un caso eccezionale, anzi. È proprio attraverso l’uccisione di genitori, fratelli, parenti, sangue del proprio sangue, che i ribelli del Lra “iniziavano” i più piccoli alla guerra, cercando di strappare dal loro cuore ogni pietà, senso etico, umanità.
I testimoni di quella guerra, ormai da molti dimenticata, raccontano di atrocità e nefandezze. Ma il dopoguerra – come ricorda il giornalista Toni Capuozzo nell’introduzione al libro Cucire la speranza (Emi, 2017) – è talvolta «peggiore della guerra stessa. Con i sospetti e i rancori che si trascinano specie nelle guerre civili, dove vittime e carnefici vivono fianco a fianco, è una sfida più sottile».
Per questo il lavoro che suor Rosemary continua a fare tenacemente con le sue scuole di cucito e cucina ha un significato che va oltre la vita delle singole ragazze a cui sta restituendo il futuro. È un messaggio di tenacia e di speranza che spesso appartiene soprattutto ai grandi sognatori. «Non smetterò mai di sognare!» ripete suor Rosemary.
Ma nello stesso tempo non smette mai di darsi da fare perché i suoi sogni diventino realtà. «Mi comporterò come se potessi», è l’altro slogan di questa religiosa che non si è mai lasciata frenare dal senso di inadeguatezza di fronte all’enorme compito di cui si è fatta carico. In questa sua avventura ha incontrato e coinvolto molti amici. È stata supportata da missionari e missionarie italiani, ma soprattutto da gruppi e associazioni americani come Pros for Africa, fondata dall’avvocato americano Reggie Whitten che è anche coautore del libro.
Grazie al supporto di molti sostenitori, suor Rosemary ha fondato la Sister United e la Sewing Hope Foundation per l’esportazione di borse e oggetti prodotti alla St. Monica School, che oggi vengono venduti in tutto il mondo come pezzi unici di artigianato di pregio. Rifiuti trasformati – in tutti i sensi – in qualcosa di bello e prezioso.
Anna Pozzi
(articolo tratto da www.mondoemissione.it)
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